Alex Schwazer forse questa volta ha vinto la gara più dura della sua carriera. In palio non c’erano medaglie o record da registrare, ma qualcosa di ancor più importante per un atleta olimpionico, la dignità di un professionista che ha provato a scrollarsi di dosso l’etichetta di imbroglione recidivo.
Già, perché per chi non conoscesse la sua storia, Alex, marciatore azzurro, campione olimpico della 50 km a Pechino nel 2008, dal 2012 è stato accusato, per ben due volte, di doping. Capo d’imputazione: aver alterato le sue performance attraverso l’assunzione di sostanze o farmaci illeciti.
Ma proviamo a ripercorrere la sua storia, perché le reazioni dell’atleta azzurro alle accuse di doping sono state diametralmente opposte.
6 Agosto 2012: la prima positività
Schwazer alla vigilia delle Olimpiadi di Londra risulta positivo ad un controllo antidoping. Nello specifico, durante dei controlli dell’agenzia mondiale (Wada), risulta positivo all’Epo (l’ormone eritropoietina). Uno shock per tutta la comitiva azzurra che, di lì a poco, avrebbe partecipato ai giochi e che di certo dalla medaglia d’oro di Pechino 2008 tutto si aspettava, tranne una macchia simile che avrebbe screditato tutto il movimento.
Il marciatore non poté fare altro che ammettere le sue colpe pubblicamente attraverso una conferenza stampa a cuore aperto: “Ho fatto un grande errore e l’ho fatto tutto da solo. Dopo Pechino ho avuto tre anni molto difficili come atleta, in cui non sono stato bene. Non sono riuscito a tornare quello di prima, ma volevo tornare più forte e non ho resistito alla tentazione di doparmi. Posso solo ripetere che mi dispiace”.
Parole che fanno sicuramente riflettere sulla pressione al quale viene sottoposto un atleta di quel calibro. La paura di non riuscire a ripetere la performance di Pechino alle imminenti Olimpiadi, hanno fatto cadere Alex nel baratro, tanto da fargli perdere la lucidità nel capire cosa fosse giusto o sbagliato.
L’atleta ha l’obbligo di ambire a traguardi sempre più grandi, alzando l’asticella di volta in volta, ma voler perseguire i propri obiettivi calpestando i valori etici e morali di correttezza sportiva che sono alla base di qualsiasi disciplina, diventa un punto di non ritorno. E di questo Alex nel 2012 ne fu cosciente: “Ho sbagliato io, la mia carriera è finita”.
Ripresa agonistica e seconda positività
Come tornare a marciare cercando di pulire la propria immagine deteriorata dai fatti accaduti nel 2012? Se lo sarà sicuramente chiesto Alex Schwazer, quando nel 2015 a pochi mesi dalla fine della squalifica, decise di ritornare ad allenarsi. La soluzione naturale fu quella di scegliere come guida Sandro Donati, allenatore stimato nell’ambiente dell’atletica per la sua onestà e statura morale ma soprattutto per la sua rigida lotta al doping.
Dopo lunghi allenamenti e sessioni massacranti, quando le cose per Alex sembravano tornare nel verso giusto, in vista delle Olimpiadi di Rio nel 2016, arrivò una seconda batosta, stavolta inaspettata. Nel Dicembre 2015 la Iaaf (Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica) effettua un controllo antidoping a sorpresa a casa di Schwazer e nell’urina del marciatore emerge una quantità non consentita di anabolizzanti e steroidi. Le controanalisi di Luglio confermeranno tutto: si tratta nuovamente di doping. Stavolta però l’atleta si dichiara da subito innocente e totalmente estraneo ai fatti a tal punto da urlare al complotto. Con la forza di chi sa di aver sbagliato in passato ma di non aver ripetuto lo stesso imperdonabile errore, sostiene che le analisi delle urine sono state contraffatte e chiede di essere al più presto scagionato da queste infamanti accuse.
Contrariamente, il 10 Agosto 2016 arriva ufficialmente la condanna da parte del Tas di Losanna che sentenzia otto anni di squalifica.
Il mondo crolla addosso ad Alex che però promette battaglia.
18 Febbraio 2021: il Tribunale di Bolzano dispone l’archiviazione del caso
Pochi giorni fa Alex ha potuto festeggiare la vittoria più grande, il Gip di Bolzano ha dato ragione all’atleta di Vipiteno sancendo ufficialmente che “I campioni di urina del 2016 sono stati alterati allo scopo di far risultare una positività e ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta”.
Una battaglia importante quella vinta da Schwazer che questa volta viene riconosciuto come parte lesa della vicenda, probabile vittima di un sistema da egli stesso giudicato corrotto e manipolatore. L’errore nel 2012 fu imperdonabile, questo è fuori discussione, ciò non toglie che Alex pagò pesantemente per i suoi sbagli con una squalifica per tre anni e sei mesi ed il congedo dall’arma dei Carabinieri. Quelle pene furono esemplari per essersi macchiato di frode sportiva, ma rappresentarono anche un nuovo punto di partenza per provare a rialzarsi e controllare di nuovo la propria vita. Perché anche se è impossibile tornare indietro è auspicabile che ad Alex venga restituita la dignità dell’uomo che sa di aver sbagliato ma che tenta di avere una seconda chance con un epilogo diverso della sua carriera.
Seguiranno aggiornamenti sulla vicenda, ad ogni modo il caso di Schwazer non rimane isolato basti vedere le misteriose vicende di doping legate ad altri campioni dello sport.