Oggi 21 Maggio si celebra la Giornata Mondiale per la diversità culturale, il dialogo e lo sviluppo. Tale ricorrenza, istituita dall’ assemblea generale delle Nazioni Unite nel Dicembre 2002, ha l’obiettivo di promuovere ed incrementare la consapevolezza globale dell’importanza del dialogo fra differenti culture.
All’interno dei nostri articoli abbiamo sottolineato più di una volta come lo sport abbia un ruolo determinante nella nostra cultura sociale e familiare grazie alla sua funzione educativa. Rappresenta infatti un veicolo fondamentale per la divulgazione di alcuni valori chiave per la crescita dei ragazzi: la lealtà, la correttezza, il rispetto sono punti di riferimento importanti nella formazione del carattere e nel rafforzamento del loro concetto di disciplina.
L’attività sportiva innesca un vero e proprio percorso di crescita sia dal punto di vista fisico-motorio che da quello psicologico-emotivo, incidendo in modo determinante sulla personalità degli adolescenti.
Molti sono gli aspetti positivi legati al mondo dello sport, oltre a ciò che è stato detto sin ora, non va assolutamente dimenticato la possibilità che offre di mettere a contatto ragazzi provenienti da culture ed etnie diverse. Fare attività sportiva è un diritto universale, indipendente dalla propria nazionalità, colore della pelle, credo religioso. Per questo motivo lo sport si rivela uno strumento prezioso per lo sviluppo dell’inclusione sociale, favorendo il rispetto tra atleti provenienti da diverse culture e contribuendo all’integrazione nella società di quelle minoranze a rischio di emarginazione sociale. Nella cultura moderna lo sport ha fatto della lotta alla discriminazione, in qualsiasi forma essa si presenti, uno dei pilastri nella costruzione delle propria fondamenta contribuendo ad appianare e valorizzare le diversità.
Lo sport facilità l’integrazione nella società dei migranti e delle persone d’origine straniera, unisce più che divide e spesso rappresenta una vera e propria opportunità per queste persone, per cambiare la propria vita. Qualcuno di loro riesce addirittura a diventare un atleta professionista, in quest’ottica lo sport è davvero pieno di storie incredibili, di ragazzi poveri provenienti da contesti sociali piuttosto difficili, capaci di riscattarsi grazie alle loro doti in ambito sportivo.
Lo sport promuove un senso comune di appartenenza e partecipazione, per questo è importante sostenere le attività sportive, mettere a disposizione spazi e costruire campi da gioco e palestre dove anche i più poveri, insieme agli immigrati e stranieri, possano praticare le proprie discipline, interagendo in maniera positiva.
Il grande potere dello sport è infatti proprio quello di unire persone senza le naturali distinzione di lingua e identità culturale, di razza e religione, piuttosto che genere o status socio economico. Anzi, al contrario, la diversità all’interno delle squadre spesso migliorano le performance contribuendo alla formazione all’interno dei team, di un mix vincente tra differenti qualità fisiche, caratteriali, psicologiche a patto che ci sia alla base un sano rispetto reciproco.
Nell’attività agonistica entrano anche in gioco abilità di vita intrapersonali e interpersonali, esperienze e personalità, elementi che incidono, soprattutto negli sport di squadra. Esistono diversità di ruoli e di caratteristiche che, insieme, possono formare un team vincente grazie alla condivisione di fatica, agonismo, tensione, emozioni di gioia e delusione, sconfitte e successi. Tutto ciò, spesso e volentieri, accade tra giovani italiani e dei loro coetanei provenienti o da altri Paesi o nati in Italia da genitori stranieri. Sotto questo punto di vista lo sport rappresenta uno strumento di inclusione e di accettazione delle diversità culturali, davvero vincente.
Ci sono molti atleti in attività e non, che sono dei veri e propri testimonial di come lo sport sia uno straordinario strumento di integrazione capace di cambiare il destino di tanti giovani provenienti da terre straniere.
KLAUDIO NDOJA: cestista albanese, classe 1985, attualmente giocatore di Rieti in serie B. Ha trovato fortuna in Italia, grazie alla pallacanestro, dopo una fuga rocambolesca in gommone dal suo Paese d’origine. All’età di 12 anni, Ndoja ha attraversato il mar Adriatico alla volta del Salento, per fuggire insieme alla sua famiglia dall’Albania travolta dalla guerra civile: «Quando l’acqua è più sicura della terraferma c’è qualcosa che non va. Il basket è stato una forma di integrazione».
FIONA MAY: due volte oro mondiale e due volte argento olimpico nel salto in lungo, è stata per anni una delle pochissime atlete italiane di colore. Nata nel Regno Unito nel 1969 in una famiglia di origine giamaicana dedita allo sport, rappresentò prima la nazionale inglese in due edizioni dei Giochi Olimpici, in seguito acquisì la cittadinanza italiana dopo il matrimonio con l’astista e multiplista Gianni Iapichino. Per il suo percorso di vita e sportivo si definisce “per un terzo giamaicana, per un terzo inglese e per un terzo italiana”.
EBRIMA DARBOE: calciatore gambiano, classe 2001, attualmente centrocampista della Roma. Il giovanissimo, cresciuto calcisticamente nella Primavera dell’As Roma sta facendo molto parlare di sé dopo essere sceso in campo da titolare nella recente semifinale di Europa League tra Roma e Manchester United. La sua storia è davvero incredibile: Darboe ha attraversato il Mediterraneo da solo a 14 anni, senza genitori, portando con sé soltanto un pallone. Quando è arrivato a Trigoria, per fare un provino, non aveva le scarpette, gliele presero dal magazzino. Da quel momento in poi la società si è occupata anche di lui e dei suoi studi.
“Avevo questo sogno fin da piccolo ma come sapete in Africa è difficile giocare a grandi livelli senza un aiuto. Quindi c’era un mio amico fraterno, che lì in Gambia mi diceva sempre: ‘Sei troppo forte, parla con i tuoi genitori per farti portare in Europa, sono sicuro che se arrivi lì ce la fai a giocare al top’. I miei genitori mi hanno dato una mano ma non era facile per il visto: non ho avuto scelta, sono fuggito con due amici, un viaggio duro. In Italia mi hanno raccolto in una casa famiglia, vorrei ringraziarli tanto. Dopo un anno ho conosciuto Miriam Berruti, una talent scout che da quando l’ho incontrata mi ha cambiato la vita e mi ha reso parte della loro famiglia: ero troppo piccolo, avevo bisogno di una famiglia. Vorrei ringraziare tutta la sua famiglia, so che mi stanno guardando. Ringrazio Dio e l’Italia per avermi dato quest’opportunità.”
ISALBET JUAREZ: velocista italiano di origine cubana, classe 1987. Nato a L’Avana da madre cubana e padre italiano, Isalbet è arrivato in Italia all’età di 11 anni, e si è stabilito a Rivolta d’Adda, nel bergamasco, dove ha iniziato a praticare atletica nel vivaio dell’atletica Bergamo 1959. Al compimento della maggiore età diventa cittadino italiano a tutti gli effetti e grazie al suo straordinario talento nell’atletica, nel 2008 viene reclutato dalle Fiamme Oro.
“Non ho mai avuto problemi di integrazione né a scuola, né nello sport, così come mia madre, che è anche più scura di pelle di me, ed è regolarmente iscritta all’albo italiano degli infermieri. Credo che quando si emigra si debba avere l’intenzione di adattarsi. Chi ha problemi di ambientamento molto spesso non vuole integrarsi davvero, vuole continuare a fare ciò che faceva prima, oppure fare di testa sua. Comportarsi così non porta a niente di buono: per sopravvivere è necessario adattarsi e imparare a respirare fuori dall’acqua”.