Ieri, 17 Maggio è stata la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Una ricorrenza importante perché richiama il 17 Maggio del 1990 quando l’omosessualità fu rimossa dalle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie, pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Facendo seguito a quell’importantissima data sotto l’aspetto della libertà individuale e del rispetto verso le diversità, dal 2004 l’Unione Europea e l’Onu hanno deciso di promuovere tale ricorrenza dedicandole un’intera giornata. L’obiettivo è quello di promuovere e coordinare eventi internazionali di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare per l’appunto i fenomeni di violenza dovuti all’omofobia, bifobia e transfobia.
Nei nostri articoli abbiamo sottolineato più di una volta come lo sport sia uno straordinario strumento educativo e veicolo di valori importanti sotto l’aspetto socio-relazionale. Il tema dell’omofobia però è da sempre stato molto delicato in ambito sportivo: nelle palestre, nelle squadre o in qualsiasi altro contesto di allenamento purtroppo la tendenza è quella di aderire agli stereotipi di genere e sessuali provenienti dalla propria cultura di appartenenza. Troppo spesso si è ancora portatori di una mentalità chiusa verso le diversità, con la conseguenza di alimentare il pregiudizio sessista ed omo-transfobico. Da questo punto di vista lo sport continua ad essere una montagna difficile da scalare per la promozione di una cultura che valorizzi le differenze e sostenga la tutela dei diritti sessuali.
L’ambiente sportivo limita la possibilità di esprimere serenamente il proprio orientamento omosessuale, specialmente in alcuni sport e Paesi e soprattutto nel mondo maschile perché dati alla mano, l’omosessualità femminile è generalmente maggiormente accettata. L’omosessualità nello sport è quindi considerata ancora un tabù, ciò è dovuto anche alla presenza di alcuni stereotipi ancora presenti nella nostra società.
Generalmente si è soliti abbinare l’immagine di un atleta di sesso maschile a quella di una persona forte e mascolina, per questo motivo difficilmente viene accettato un coming out da parte di uno di loro: essere “gay” infatti mette a repentaglio l’immagine di chi per eccellenza deve rappresentare virilità e machismo. Al contrario lo stereotipo femminile generalmente prevede un’immagine più sensibile, emotiva, sicuramente più fragile e debole rispetto a quella dell’uomo. Tutte caratteristiche che non coincidono con quelle delle atlete professioniste che spesso mettono in mostra qualità psicologiche e fisiche considerate molto più maschili che femminili, per questo motivo vengono sospettate di essere “gay” perché non aderenti agli stereotipi di genere.
Uomini e donne spesso si trovano nelle condizioni di dover esprimere dei comportamenti spesso esagerati che sono iper-mascolinizzati e iper-femminilizzati per sentirsi ed essere visti come persone adeguate e conformi a questi prototipi dettati e sanciti da una norma non scritta.
Nonostante ciò, giornate come quella di ieri dedicate a combattere l’omofobia ed i piccoli passi in avanti che la nostra società sta facendo nel rispettare ed accettare l’orientamento sessuale di chi ci sta attorno, hanno fatto si che, nel corso degli anni, un numero crescente di atleti abbia gradualmente sconfitto la paura del giudizio, dichiarando pubblicamente la propria omosessualità.
Una delle prime atlete a fare coming out fu la campionessa statunitense di tennis Martina Navratilova che nel lontano 1981, sfidando un’ epoca decisamente difficile e poco incline ad accettare la diversità, si dichiarò pubblicamente omosessuale diventando nel corso degli anni una vera e propria icona gay. La tennista fece da apripista, seguita nel 1988 da Greg Louganis, tuffatore statunitense e nel 1999 dalla tennista Amelie Mauresmo.
Il primo gay olimpico a fare coming out fu il tuffatore australiano Matthew Mitcham nel 2008 , nella sua disciplina si ricordano anche Tom Daley, campione del mondo a Roma nel 2009 e Budapest 2017, che ammise su Youtube di avere una relazione con un uomo e Greg Louganis, quattro ori e cinque titoli mondiali, che disse di essere gay nel 1994.
Nel 2014 negli Usa ebbe notevole impatto mediatico l’omosessualità dichiarata di Michael Sam che diventò il primo giocatore gay a giocare nella NFL, con tanto di commento a caldo dell’allora presidente Obama che dichiarò: “Mi congratulo con Michael Sam e la NFL per aver fatto un importante passo avanti, oggi, nel viaggio della nostra Nazione e che gli americani prendano coscienza ogni giorno che bisognerebbe giudicare le persone da ciò che si fa e non da ciò che si è”.
I media sono diventati nel corso degli anni uno strumento fondamentale per ampliare l’effetto di queste dichiarazioni, sempre nel 2014 Ian Thorpe, il nuotatore australiano più vincente in assoluto, fece coming out concedendo un’intervista al famoso quotidiano britannico “Daily Mail”.
Nel 2015 è stata la volta dello sciatore olimpico Gus Kenworthy che ha scelto i social per dichiarare la propria omosessualità, attraverso un semplice tweet che recitava: “I am gay”. Sullo stesso social nel 2018 fu Collin Martin, l’attaccante del Minnesota United a dichiarare la propria omosessualità in occasione del gay pride organizzato nella sua città.
Anche varie personalità del basket hanno ammesso di essere gay: dalla cestista dei Chicago Sky e stella della squadra femminile Usa, Elena Delle Donne, alla compagna di nazionale Brittney Griner. Tra le testimonianze degli uomini si ricordano nel 2007 John Amaechi, primo giocatore dell’Nba a dichiararsi, e nel 2013 Jason Collins, ex giocatore e centro dei Brooklyn Nets.
Nel mondo della pallavolo, a fare coming out fu Paola Egonu in un’intervista dopo il secondo posto ottenuto ai mondiali femminili nel 2018.
Al giorno d’oggi, nel 2021, appare dunque evidente come molti personaggi di spicco del mondo dello sport abbiano scelto di dichiarare pubblicamente la propria omosessualità soprattutto per poter essere da esempio, per educare le persone a vivere liberamente e non chiudere gli occhi davanti ad uno degli aspetti maggiormente spiacevoli nello sport: l’omofobia.
Questo coraggio però non è ancora diffuso in tutte le discipline, specialmente nel calcio maschile e negli sport di squadra molti atleti preferiscono tacere perché impauriti dalle possibili ripercussioni sulla propria carriera e da possibili episodi spiacevoli come diffamazioni ed insulti.
In quest’ottica fanno riflettere le parole pronunciate dal calciatore della Sampdoria e del calcio svedese Armin Ekdal:”Tutti dovrebbero sentirsi liberi di fare coming out, nella vita e nel calcio. Sfortunatamente nel nostro sport non è così: solo otto giocatori hanno dichiarato di essere omosessuali. Molti altri vorrebbero farlo ma evitano, per paura delle reazioni negative. Questi giocatori sono preoccupati di diventare un bersaglio per gli insulti e lo scherno, sia dentro che fuori dal campo. Come risultato, si sentono obbligati a nascondersi, fuggire e vivere nella paura. Dobbiamo reagire utilizzando l’istruzione come una forza per un cambiamento positivo. Essere omosessuale non definisce te come persona, ma determina solo chi trovi attraente. Ognuno di noi è parte della razza umana e abbiamo una passione in comune: amiamo il calcio e questa è la cosa più importante per tutti noi”.