Da poco più di due giorni nel mondo del calcio non si parla d’altro, Josè Mourinho torna ad allenare in Italia e dalla prossima stagione siederà sulla panchina della Roma. Tale notizia a livello mediatico ha avuto un impatto devastante a livello internazionale: tutti i telegiornali, siti internet, radio e giornali cartacei parlano del tecnico portoghese, indiscusso protagonista delle ultime ore.
Ma perché tutto questo clamore per un allenatore di calcio? Perché Mourinho non rappresenta una semplice guida tecnica, bensì un personaggio a tutto tondo, carismatico, mediaticamente fortissimo, capace di attirare sponsor, attenzioni e soldi. Non è un caso che dopo l’annuncio ufficiale di Mourinho i titoli di borsa dell’As Roma siano schizzati, le azioni sono in rialzo anche nella giornata di oggi, a due giorni dal comunicato dalla società.
La capitalizzazione della AsRoma è salita di oltre 60 milioni di euro in due sedute raggiungendo i 230 milioni a fronte dei 166 milioni precedenti all’annuncio dell’arrivo del nuovo allenatore, che guiderà la squadra per il prossimo triennio a partire dalla stagione 2021-22.
Un effetto di questo tipo sulla borsa rende bene l’idea dell’importanza del colpo di mercato fatto dalla Roma non solo a livello sportivo, il portoghese infatti a livello calcistico è uno degli allenatori più vincenti in attività con già 25 trofei in bacheca, ma soprattutto a livello mediatico ed economico finanziario.
L’ego di Mourinho è smisurato, la sicurezza in sé stesso non ha eguali nel panorama calcistico internazionale così come la sua ambizione e volontà di voler essere considerato il migliore a tutti i costi. Pensate che da solo, nel giorno della sua presentazione sulla panchina del Chelsea, si definì lo “Special One” dopo aver vinto la Champions League con il Porto con calciatori privi di fama mondiale. Il contesto storico è quello di 17 anni fa ma già allora furono queste le parole pronunciate da Josè nella conferenza stampa di presentazione al Chelsea: “Non chiamatemi arrogante, ma sono campione d’Europa e credo di essere speciale. Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto. Una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio, io”.
Mourinho da calciatore non ha mai sfondato ma la sua carriera da allenatore ha avuto ben altre fortune. La sua prima panchina è quella del Porto dove in due stagioni e mezza vince due campionati (2003 e 2004), una Coppa (2003) e una Supercoppa nazionale (2003), ma soprattutto una Coppa UEFA (2003) e una Champions (2004). Sbarca in Inghilterra e vince due Premier League con il Chelsea (2005, 2006), due Coppe di Lega (2005, 2007), una Coppa d’Inghilterra (2006-2007) e una Supercoppa inglese (2005). Nel 2008 approda all’Inter, che conduce alla vittoria di due campionati (2009 e 2010), una Coppa Italia (2010), una Supercoppa italiana (2008) e una Champions (2010), che completa il “triplete nerazzurro”. La campagna d’Europa di Mourinho prosegue quindi in Spagna. Con il Real Madrid arrivano i successi nella Liga (2012), una Coppa del Re (2011) e una Supercoppa spagnola (2012). Ma niente Champions e così lo ‘Special One’ tornare al Chelsea, con cui vince un altro campionato (2015) e un’altra Coppa di Lega (2015). Al Manchester United vince una Supercoppa inglese (2016), una Coppa di Lega (2017) e un’Europa League (2017).
In tutto fanno 25 trofei, un palmares davvero invidiabile che fa del tecnico portoghese uno dei più vincenti manager del mondo del calcio.
Al di là della conoscenza calcistica, lo “Special One” è davvero un passo avanti anche a livello comunicativo, dotato di un’ efficacia estetica, mimica e linguistica con pochi eguali tra i colleghi. Rappresenta al tempo stesso sia il condottiero che lo scudo delle squadre che allena: beffardo, mediaticamente eccessivo e ossessionato dal successo, dovunque ha allenato ha creato un fortino dentro il proprio gruppo, proteggendo i suoi calciatori da critiche e dalla stampa. Josè ha conquistato mezza Europa facendosi amare dai suoi tifosi e detestare dagli avversari con l’esigenza di trovare un nemico da attaccare sportivamente e mediaticamente. Quando il “nemico” non si palesa e lui a crearlo, spesso con provocazioni e attacchi gratuiti, in un bisogno quasi parossistico di antagonismo. E da lì trae vigore e stimoli, per il gruppo prima ancora che per se stesso.
La provocazione fa parte del suo Dna da sempre, in carriera ha spesso messo nel mirino arbitri e allenatori avversari rendendosi protagonista di gesti e mimiche facciali inequivocabili, schiette e dirette in vicinanza di telecamere. In Italia mette in scena il gesto delle manette per inveire contro la terna arbitrale e contro il “sistema”, prendendosi tre giornate di squalifica dal giudice sportivo. In Spagna mima il binocolo per sottolineare l’incapacità degli arbitri di gara. La sindrome di accerchiamento fa da sprone ai suoi giocatori, i gesti di sfida agli avversari lo innalzano a idolo dei tifosi: dalle tre dita mostrate in Champions ai milanisti per ricordare il triplete vinto sulla sponda opposta di Milano, all’orecchio mostrato a fine gara agli juventini che lo beccavano incessantemente.
Ma nelle esperienze del portoghese non solo successi, ad Aprile scorso è stato esonerato dal Tottenham registrando il suo terzo licenziamento consecutivo in Premier dopo Chelsea e United. Ora l’esperienza alla Roma per confermare di essere ancora lo “Special One” e vincere ancora. Quale piazza migliore per dimostrarlo se non nella capitale d’Italia, in una delle città più famosa al mondo? A Luglio sbarcherà di nuovo in Italia, a Roma nel frattempo è già esplosa la Mourinho mania con un paio di mesi di anticipo.